"QUARTETT"
by Heiner Müller
Theatrical work
Scenes by Fiorenzo Fierro
NOTE DI REGIA
 Quartett parla del cruento gioco di ruoli di Merteuil e Varmont, due ex amanti i quali, oltre ad interpretare se stessi, impersonano le vesti di altri personaggi vittime delle loro continue beffe, usandoli per un loro divertimento. Le uniche due indicazioni sceniche che il testo fornisce sono le seguenti:
Un salotto prima della rivoluzione francese.
Un bunker dopo la terza guerra mondiale.
Dalla prima lettura dell’opera mi sono stati utili tali indicazioni in quanto mi hanno permesso di spaziare, tuttavia questo spaziamento è da creare e cercare altrove perché le strutture del teatro tradizionale non consentono – per me – di comunicare il messaggio dell’opera presa in considerazione. È uno schema ripetuto: un platea separata, da sipario e boccascena, dallo spazio scenico. Come figlio del mio tempo non mi stanno più bene queste strutture: come prevedeva lo sperimentalismo ronconiano sullo spazio anch’io sento l’esigenza di scegliere un luogo non-teatrale per la messa in scena.
Leggendo l’opera ho avuto l’impressione che i due personaggi, con i loro continui mutamenti, rappresentino l’emblema della destrutturazione derridariana, un concetto secondo il quale ci deve essere un disfacimento, uno scomponimento della realtà. Jacques Derrida applica questo metodo al modo di Artaud di intendere il teatro: anch’egli teorizzava l’abbattimento del teatro del suo tempo che è giunto tuttavia sino a noi. Esattamente come lui credo che tutt’oggi bisogni superare la concezione che il teatro all’italiana sia l’unico teatro per eccellenza.
Venendo alla messa in pratica spiegherò in seguito quello che ho visionato nella mia mente: immagino due strutture complementari l’una dentro l’altra con agli angoli interni della prima quattro proiettori che creano altrettanti fasci diretti e lineari di luce che guidano l’occhio dello spettatore verso la struttura centrale, ossia un grande cubo bianco nella sala buia e nera dove non ci sono sedili, né sedie, né poltrone. Dei suoni rimandanti alla guerra – marce militari, scoppi di bombe, mitragliatrici… – si sentono in sottofondo aumentando sempre più d’intensità. A questo punto posso prevedere lo “straniamento” che può provare ogni singolo individuo che entra in contatto con questo spazio indefinito e inusuale. Di fronte alla grandezza del cubo al centro dello spazio lo spettatore, sentendosi spaesato, non sa ancora cosa sta guardando. Quando i suoni raggiungono il proprio apice, esattamente in quel momento, immagino il cubo aprirsi, scomporsi, destrutturarsi: si è aperto, e mostra al suo interno una pedana con sopra due figure indistinte ferme, immobili, in una gelida stasi che mi ricorda quella visionata ne “Il giardino dei ciliegi” di Strehler, da cui ho preso anche spunto per la supremazia del colore bianco del cubo e delle sue pareti disfattesi. Ancora una volta prevedo e quasi sento – come se mi trovassi anche io lì – lo stupore e la confusione provata da ogni individuo presente. Immagino alcuni avvicinarsi alla pedana per vedere da vicino che queste due persone stanti sono in realtà due persone sulla scena in attesa di un segnale, che io credo corrisponda alla cessazione dei suoni fin ora sentiti. È quello l’esatto momento i cui la stasi si rompe, e da lì prendono forma le prime due battute originali dell’opera:
Valmont: Che? Recitiamo ancora?
Merteuil: Recitare? Che altro si può fare?
Ogni volta che in scena, sempre fissa e immobile, avviene un cambio di personaggio in lontananza si sente l’esplosione di una bomba. Verrebbe da chiedersi il perché proprio la scelta di determinati effetti audio, specialmente tra un cambio e l’altro; eppure questo gioco tra i due assume la stessa enfasi di una guerra combattuta su più livelli. Un conflitto di logoramento, dove a deteriorarsi sono i loro animi. Altre domande spontanee potrebbero essere: siamo in un bunker? O in un salotto poco prima dello scoppio rivoluzionario? O in entrambi? Oppure in nessuno di questi. In una realtà sospesa, statica e destrutturata dove la Storia e i personaggi che agiscono in essa subiscono lo stesso fato del cubo: prima forma perfetta, ora forma decomposta.
 Come dicevo all’inizio, se questi personaggi incarnano la destrutturazione diventano ogni volta non solo altro da sé ma altro dal personaggio interpretato in precedenza: si ha, dunque, un’alternanza irregolare dei personaggi. È immediato, a questo punto, il riferimento alla poetica teatrale di Pirandello: interpretando più personaggi, i protagonisti che sono numericamente sempre e solo due diventano una moltitudine, e come si può portare in scena una moltitudine? Essendo nessuno. È questa l’essenza della destrutturazione, essere nulla in una realtà che si è via via destrutturata e che continua ad esserlo tanto per loro quanto per gli spettatori che si trovano al suo interno.
Ho deciso di mostrare l’esatto momento in cui ciò avviene perché è importante prenderne coscienza: la destrutturazione non è distruzione, è un nuovo modo di comporre lo spazio scenico.
SKETCH #1
SKETCH #2
SKETCH #3
QUARTETT
Published:

QUARTETT

Published: